IOL Master

Cos'è IOL Master

Definizione di IOL Master

Si tratta di uno strumento ottico non a contatto, che calcola la distanza tra l’apice corneale ed il piano dell’epitelio pigmentato retinico grazie all’interferometria a coerenza ottica.

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IOL master

Quando serve eseguire l'ecobiometria?

In previsione dell’intervento di estrazione di cataratta o di chirurgia refrattiva intraoculare.

È qui particolarmente importante misurare con quanta maggior precisione possibile la curvatura della cornea e la lunghezza del bulbo oculare e la profondità della camera anteriore.

Tale calcolo, applicando delle costanti specifiche per il cristallino artificiale che dovrà essere impiantato, ci permette di correggere i vizi di refrazione del paziente ; ovvero calcoliamo con questo strumento, il potere del cristallino artificiale che impianteremo in un occhio in sostituzione del suo cristallino naturale catarattoso o meno  al fine di ottenere l’emmetropia o il risultato concordato col paziente stesso.

Tomografia Ottica Computerizzata – OCT

Cos'è la Tomografia Ottica Computerizzata - OCT?

Definizione di Tomografia ottica e coerenza di fase

La tomografia ottica a coerenza di fase (OCT) è una metodica diagnostica tomografica non invasiva che consente la misurazione in vivo dello spessore delle fibre nervose della retina, del nervo ottico e della cornea. E’ un sistema d’acquisizione studiato con lo scopo di ottenere delle immagini in sezione della retina ad alta risoluzione.

L’OCT sfrutta un raggio di luce a bassa coerenza, generalmente emesso da un diodo superluminescente. Con l’analisi computerizzata della luce riflessa dai tessuti in esame è possibile ricostruirne la struttura in due o tre dimensioni. Questa tecnica consente lo studio in sezione della retina e la diagnosi di eventuali patologie. Si possono individuare eventuali rotture, assottigliamenti o alterazioni del tessuto nervoso. È una tecnica particolarmente importante per la diagnosi e la prognosi delle patologie della macula, (maculopatie degenerative, retinopatie diabetiche, foro maculare,  membrane epiretiniche e  membrane neovascolari sottoretiniche), del glaucoma.

Può essere utilizzata per studiare la geometria del segmento anteriore e prende il nome di Visante OCT. Viene usato per la diagnostica per valutare patologie corneali, retiniche e del nervo ottico, per poterle stadiare, controllarne l’evolutività mettendo a confronto le mappe differenziali e nel follow up post chirurgico.

OCT edema maculare

Pentacam

Cos'è la pentacam?

Quando si usa

Questo esame viene utilizzato per studiare le anomalie della cornea e del segmento anteriore. Permette di diagnosticare precocemente forme di ectasia corneale e di cheratocono sospetto. Il confronto dei dati raccolti in più esami successivi consente di studiare e stadiare l’evoluzione delle patologie. E’ un esame non invasivo e privo di rischi. È adatta a pazienti di qualsiasi età, anche ai bambini, purché siano in grado di collaborare. È indicata in tutti i pazienti affetti da patologie corneali e prima di alcuni interventi

Pentacam
Pentacam retina

Come si usa

Prima di dell’esame è necessario astenersi dall’uso delle lenti a contatto per evitare impronte o alterazioni della curvatura corneale che potrebbero falsare i risultati (warpage). Il film lacrimale deve essere sufficiente a garantire misurazioni attendibili non influenzate da irregolarità della superficie. Se necessario, si possono utilizzare lacrime artificiali prima di eseguire l’esame.

Cosa fa il pentacam

Il Pentacam è uno strumento dotato di una Scheimpflug camera per lo studio del segmento anteriore dell’occhio.
Esso fornisce immagini nitide di cornea, iride e cristallino esegue l’esame grafico corneale anteriore e della superficie posteriore della cornea da limbus a limbus, la pachimetria di tutta la cornea stabilendone il punto più sottile ed il più spesso con le eventuali irregolarità corneali, l’entità dell’angolo irido-corneale su 360°, quindi la profondità della camera anteriore. Inoltre, inserendo manualmente la pressione intraoculare (IOP), viene calcolato e visualizzato il valore corretto della IOP tenendo in considerazione lo spessore corneale.

Campo visivo

Cos'è il campo visivo?

Definizione di campo visivo

Il campo visivo è la porzione di spazio che un occhio è in grado di percepire fissando un punto.

Esiste un gradiente di sensibilità della retina nei vari punti; tridimensionalmente, il campo visivo è assimilabile ad una montagna della visione: all’apice (fovea) la sensibilità è massima, in periferia tende a zero (a livello della macchia cieca è zero). Punti aventi uguale sensibilità retinica, uniti tra di loro, delimitano isoptere che sono sezioni trasversali della suddetta montagna.

La fovea, ove vi sono esclusivamente coni come fotorecettori, è il punto di maggiore sensibilità: si apprezzano mire luminose molto piccole e anche poco luminose, per cui essa è molto sensibile. I coni sono deputati:

  1. alla visione alla luce;
  2. alla visione ai colori;
  3. alla visione dei particolari, ad esempio per la lettura;

In periferia la sensibilità diminuisce. Sono zone di retina che fanno più fatica a percepire lo stimolo luminoso, anche perché in periferia si hanno sempre di più bastoncelli, i quali sono deputati alla visione al buio: proprio per questo motivo si nota che nell’isola della visione la sensibilità diminuisce.

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Con la campimetria computerizzata, i punti della sensibilità retinica si misurano in decibel: maggiore è la sensibilità retinica, maggiore è il numero di decibel. La macchia cieca corrisponde alla testa del nervo ottico, cioè l’area da cui si dipartono tutte le fibre nervose che collegano l’occhio al cervello; dal punto di vista perimetrico, tale area ha una sensibilità pari a zero decibel (da qui “macchia cieca”).

Per esame del campo visivo, nel senso più generale del termine, dovrebbe intendersi la rilevazione topografica della funzione visiva di tutta la retina dotata di capacità recettiva dello stimolo o retina visiva; perciò, teoricamente, si dovrebbe riuscire a prendere tutta la retina dove si hanno le cellule, coni o bastoncelli (retina visiva o neuroretina).

In realtà, il campo visivo fisiologico si estende:

  1. oltre i 90° temporalmente;
  2. 60° nasalmente;
  3. 60° superiormente;
  4. circa 70° inferiormente.

Questo perché si hanno degli ostacoli naturali, i quali sono:

  1. l’arcata frontale;
  2. il naso;
  3. lo zigomo.

Essi, appunto, limitano l’estensione del CV reale della retina.

Solitamente si parla di campimetria e di perimetria utilizzando tali vocaboli come sinonimi: in realtà, per perimetria si intende lo spazio massimale che un occhio percepisce intorno a sé guardando dritto un punto; per campimetria si intende lo studio di una porzione del suddetto spazio, ad esempio i 30 ° centrali.

La fovea, ove vi sono esclusivamente coni come fotorecettori, è il punto di maggiore sensibilità: si apprezzano mire luminose molto piccole e anche poco luminose, per cui essa è molto sensibile. I coni sono deputati:

  1. alla visione alla luce;
  2. alla visione ai colori;
  3. alla visione dei particolari, ad esempio per la lettura;

In periferia la sensibilità diminuisce. Sono zone di retina che fanno più fatica a percepire lo stimolo luminoso, anche perché in periferia si hanno sempre di più bastoncelli, i quali sono deputati alla visione al buio: proprio per questo motivo si nota che nell’isola della visione la sensibilità diminuisce.

Con la campimetria computerizzata, i punti della sensibilità retinica si misurano in decibel: maggiore è la sensibilità retinica, maggiore è il numero di decibel. La macchia cieca corrisponde alla testa del nervo ottico, cioè l’area da cui si dipartono tutte le fibre nervose che collegano l’occhio al cervello; dal punto di vista perimetrico, tale area ha una sensibilità pari a zero decibel (da qui “macchia cieca”).

Per esame del campo visivo, nel senso più generale del termine, dovrebbe intendersi la rilevazione topografica della funzione visiva di tutta la retina dotata di capacità recettiva dello stimolo o retina visiva; perciò, teoricamente, si dovrebbe riuscire a prendere tutta la retina dove si hanno le cellule, coni o bastoncelli (retina visiva o neuroretina).

In realtà, il campo visivo fisiologico si estende:

  1. oltre i 90° temporalmente;
  2. 60° nasalmente;
  3. 60° superiormente;
  4. circa 70° inferiormente.

Questo perché si hanno degli ostacoli naturali, i quali sono:

  1. l’arcata frontale;
  2. il naso;
  3. lo zigomo.

Essi, appunto, limitano l’estensione del CV reale della retina.

Solitamente si parla di campimetria e di perimetria utilizzando tali vocaboli come sinonimi: in realtà, per perimetria si intende lo spazio massimale che un occhio percepisce intorno a sé guardando dritto un punto; per campimetria si intende lo studio di una porzione del suddetto spazio, ad esempio i 30 ° centrali.

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Come si misura il campo visivo

Può essere misurato con tecniche grossolane, oppure elaborate e fini.

Con le dita. L’esaminatore sta davanti al paziente (il quale fissa dritto davanti a sé il dito di una mano) e valuta la percezione del movimento di un dito dell’altra mano nello spazio. In buona sostanza, l’esaminatore valuta il campo visivo del paziente confrontandolo con il proprio: si parla, appunto, di campo visivo confrontazionale. Si possono valutare così patologie grossolane. È una planimetria cinetica.

Con il perimetro di Goldmann. Si inizia con una mira grande e luminosa proiettata in senso centripeto e solitamente vista già con la periferia del campo visivo (si formerà conseguentemente un’isoptera ampia), via via passando a mire più piccole e meno luminose che saranno viste più centralmente (si formeranno isoptere più piccole). Si usano determinate grandezze delle mire a seconda della patologia del paziente. E’ anch’essa una planimetria cinetica e si usa per patologie più complesse. È possibile proiettare singoli spot in alcune aree che meglio si vogliono esaminare: ad esempio, per individuare la macchia cieca oppure aree circoscritte di minor sensibilità retinica. Si potrà in tal modo determinare la presenza di scotomi assoluti (zona in cui il paziente non percepisce nemmeno la mira più grande e più luminosa utilizzata) e di scotomi relativi (zona in cui il paziente percepisce solo le mire più grandi e più luminose; a seconda della grandezza e della luminosità di tali mire, si parlerà di scotoma relativo più o meno profondo). Al termine dell’esame si otterrà uno schema caratterizzato da linee curve (le isoptere), più o meno concentriche, e da aree scotomatose circoscritte (la macchia cieca). Per quanto riguarda la macchia cieca, lo scotoma dovrebbe mostrarsi assoluto, vale a dire proprio che il paziente non vede nessuna luminosità, solo al centro, per un’estensione di 8° in altezza e di 6° in larghezza: perciò la macchia cieca è ovalare a maggior asse verticale. Invece, la sua estensione come scotoma relativo, cioè vuol dire che se si aumenta leggermente la luminanza il paziente percepisce la mira, dovrebbe giungere, in media, ad un’altezza di quasi 14° ed una larghezza di quasi 10°. La sede fisiologica della macchia cieca in senso orizzontale dovrebbe essere compresa tra i 10-11° medialmente e 20-21° temporalmente, mentre nel senso dell’altezza essa dovrebbe non sorpassare i 20° sopra ed i 30° sotto il meridiano orizzontale. Un soggetto molto miope, ad esempio di –20D, ha una macchia cieca molto allargata, più larga. È fisiologico trovare nel miope elevato una macchia cieca più grande, questo perché in un occhio miope è tutto più stirato, più grande.

Con la perimetria computerizzata. Quest’ultima rappresenta un’evoluzione della perimetria manuale: si è passati dal manuale al computerizzato per associare all’isoptere dei numeri, maggiormente precisi e distribuiti in modo più capillare. Il computer ha pertanto rimpiazzato il Goldmann tranne nei casi molto avanzati di glaucoma o in anziani con un visus molto ridotto, quando si vuole misurare la sensibilità di isolotti eccentrici; in patologie neurologiche con alterazioni grossolane del campo visivo (emianopsie), la perimetria manuale può avere ancora una sua ratio in quanto riduce il tempo d’esecuzione. È una planimetria statica. È detta White-White in quanto gli spots luminosi sono di tonalità bianca e vengono proiettati su di uno sfondo bianco.

Il computer proietta singoli spot luminosi in alcuni punti predefiniti dell’area che si vuole analizzare. A seconda della luminosità percepita, si hanno dei valori in decibel che misurano appunto la sensibilità retinica. La proiezione nello stesso punto è multipla, cioè il computer proietta luci di maggior e di minor intensità; questa è la strategia di soglia: perché arriva a definire un numero al di sopra della quale, la luce non è vista. Si vedano le differenze fra soglia e sensibilità, come termine.

La soglia è una caratteristica della mira. Le mire caratterizzate da un’alta soglia sono molto luminose:

  1. una mira soglia ha un livello di luminanza tale da permettere la sua discriminazione il 50% delle volte che viene presentata in una determinata locazione;
  2. le mire soprasoglia sono di intensità luminosa superiore alla soglia e dovrebbero essere, in teoria, sempre discriminate; una mira luminosissima è sicuro che venga vista dal paziente e se non la vede c’è qualche motivo: o il paziente non è attento, in genere, o è stanco dell’esame che sta facendo;
  3. le mire sottosoglia, viceversa, sono di intensità luminosa inferiore alla soglia e, in teoria, non dovrebbero essere mai discriminate.

La sensibilità, invece, è una caratteristica della retina e si misura determinando la soglia luminosa differenziale in diverse aree; quindi:

  1. ci sono delle aree di retina dove il paziente è molto sensibile, per cui nota subito lo stimolo;
  2. ci sono quelle meno sensibili, per cui il paziente non nota lo stimolo.

Esiste una relazione di proporzionalità inversa tra soglia e sensibilità: se, in una determinata locazione, la soglia è molto alta (vale a dire sono percepite solo mire molto luminose), la sensibilità retinica in quell’area è molto bassa.

In base all’età del paziente, la sensibilità retinica centrale e la mappa dei valori più periferici avranno un certo andamento. Ciò consente alla macchia di sviluppare 4 grafici:

  1. una mappa in valori numerici espressi in Db;
  2. una mappa in scala di grigi per valutazioni grossolane;
  3. una mappa numerica con lo scostamento dei valori rispetto alla media della popolazione. In base all’età del paziente, è previsto che un soggetto abbia una certa soglia di sensibilità; se il paziente si discosta da tale soglia, la macchina lo rileva e lo indica in termini probabilistici;
  4. una mappa numerica con lo scostamento dei valori rispetto al modello individuale.

Il computer fornisce poi dei singoli numeri che sono gli indici perimetrici: MD e PSD. Sono parametri statistici che descrivono il campo visivo.

MD: difetto medio. E’ la media del difetto valutato in tutti i punti del cv. Il MD è importante in patologie che danno difetti diffusi del cv, ad esempio, in cataratta.

PSD: corrispondente al quadrato della deviazione standard di MD. Nel glaucoma è importante la variabilità della sensibilità retinica. La varianza è un concetto statistico che misura la dispersione in un certo campione. La varianza misura la distanza tra l’osservazione e la media. Più è elevata la varianza, più non è omogeneo il campione. E ciò è utile nel glaucoma.

Altri indici sono:

  1. i falsi negativi, quando il paziente non segnala uno spot la cui luminosità è stata percepita precedentemente
  2. i falsi positivi, quando il paziente segnala uno spot anche se in realtà il computer sta facendo appositamente una pausa nella proiezione;
  3. le perdite di fissazione, quando il paziente segnala anche gli spot proiettati in macchia cieca.

Quando questi indici sono superiori al 15-20%, sono sospetti. Più un esame è preciso, più tecnicamente elaborato e complesso, più informazioni ci darà sullo stato della malattia. Con l’aggravarsi della malattia, l’esame sarà sempre più difficile da eseguire. Inoltre, per l’effetto apprendimento, è importante anche lo stato d’animo del paziente.

Esiste, infine, un grafico dei movimenti dell’occhio rilevati grazie ad una telecamera. Il computer proietta delle luci sull’occhio, le quali danno luogo a dei riflessi corneali ben localizzati. Qualora il paziente muova l’occhio, anche tali riflessi cambiano la loro posizione e si ha la possibilità di registrare i movimenti dell’occhio stesso. Sempre grazie a tali riflessi, si ha la possibilità di registrare gli ammiccamenti dell’occhio: una chiusura prolungata delle palpebre fa scomparire totalmente i riflessi corneali alla telecamera e, quindi, è possibile verificare per quanto tempo il paziente ha tenuto gli occhi chiusi non  potendo vedere gli spots proiettati.

Per test di screening, il computer proietta sempre la stessa luce di una certa grandezza e luminosità (il cosiddetto visto e non visto) La planimetria di screening valuta difetti grossolani ed è molto utilizzata con finalità medico-legali.

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I fattori che influenzano il campo visivo

Sono molto importanti i fattori che influenzano come il paziente può rispondere all’esame; questi fattori sono:

  1. le modificazioni dei mezzi trasparenti oculari. Si ha già un assorbimento intraoculare fisiologico della luce, specie per radiazioni di lunghezza d’onda corta. La luce del visibile va dai 400 agli 800nm; sotto i 400nm c’è l’ultravioletto, mentre sopra gli 800 c’è l’infrarosso. L’uomo vede meglio sui 550, 600nm. Però, se si ha la cataratta, soprattutto se di tipo nucleare, anch’essa assorbe parte della luminosità dello stimolo, per cui il paziente si accorge più tardi dello stimolo e l’isoptera diminuisce d’ampiezza;
  2. il diametro pupillareMiosi che influiscono sul CV fotopico, perciò quello che si esegue normalmente, sono quelle molto marcate, dove il diametro pupillare è inferiore ai 2mm. È possibile trovare ciò nel glaucoma in pazienti che sono in terapia con miotici, quali ad esempio la pilocarpina. Quindi, prima dell’esame bisogna sempre osservare il diametro pupillare;
  3. ametropie. Sulla periferia del CV l’effetto dell’ametropia è meno evidente, mentre nelle zone centrali, quindi al di sotto dei 30°, bisogna correggere l’ametropia. Inoltre, bisogna tenere presente l’eventuale presbiopia, perché il paziente è posizionato a 27 cm dalla cupola ed in genere il CV si esegue in pazienti sopra i 40 anni. Bisogna sempre mettere la correzione che il paziente usa per vicino, poiché la presbiopia deve essere corretta perché il fuoco deve essere quello per vicino. È necessario anteporre la correzione con precisione, anche perché a volte il posizionare la lente in modo decentrato è anche questo una possibile causa di falsi scotomi, dovuti al portalente ed alla placchetta che indica il valore diottrico della lente stessa. La lente deve essere posizionata bene vicino alle ciglia del soggetto, con l’indicatore metallico del valore diottrico verso il naso, in modo tale che rimanga all’interno dello scotoma dovuto al naso. La correzione per vicino nei casi di emmetropia o di ipermetropia si somma alla correzione per lontano, mentre nei casi di miopia si sottrae alla correzione per lontano.
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Esempi di campo visivo

Glaucoma: è una patologia caratterizzata da un aumento della pressione intraoculare; conseguentemente si hanno danni alle fibre nervose che veicolano la sensibilità retinica al cervello, portando ad un progressivo deficit del campo visivo. Tale deficit si può rilevare con la campimetria computerizzata quando l’entità del difetto a carico delle fibre nervose è pari ad almeno 40 %. I fasci più colpiti sono quasi sempre i fasci nervosi temporali; conseguentemente i primi difetti campimetrici si manifestano a livello della porzione nasale e si parla di salto nasale di Roenne (tale denominazione deriva proprio dalla differenza tra la porzione superiore e quella inferiore del campo visivo a livello nasale). Qualora lo stadio della patologia glaucomatosa fosse più avanzato, si ha lo scotoma arciforme di Bjerrum, proprio legato all’andamento ad arco che le fibre nervose del nervo ottico hanno. Nel glaucoma preterminale, è possibile eseguire solo il CV manuale, perché ormai quello computerizzato non si può più fare poiché il paziente ha un basso visus: infatti, se il paziente guarda dritto davanti, non riesce più neanche a vedere 1/10, ma deve guardare con la testa inclinata proprio perché è conservata solamente un’isola temporale, chiamata abbaino temporale. Il CV risulta completamente nero, tranne una zona di visione preservata nell’emicampo temporale. Il fascio nervoso più nobile che può alterarsi è quello interpapillomaculare: se tale fascio viene conservato, si possono conservare ancora i 10/10; se poi viene perso, si ha una progressiva perdita della visione dei particolari fino alla cecità.

Neurite ischemica anteriore: sofferenza della parte anteriore del nervo ottico dovuta o ad arteriosclerosi o ad artrite temporale di Horton. Può essere bilaterale. La perdita del campo visivo è uno scotoma altitudinale.

Neurite ottica: è un’infiammazione del nervo ottico, la cui causa principale è la sclerosi multipla. È una malattia demielinizzante, che porta a deficit di conduzione a livello del nervo ottico dell’informazione visiva. Lo scotoma è centrale o centrocecale. La conduzione dello stimolo nell’arco di mesi tende a ripristinarsi; c’è, pertanto, un progressivo miglioramento dello scotoma. La malattia però tende a recidivare.

Adenoma ipofisario: quando si ha una compressione chiasmatica legata alla presenza di un adenoma ipofisario, si ha una sofferenza di fibre nervose che evolverà fino a dare una emianopsia bitemporale. Può iniziare come quadrantopsia omolaterale, evolversi poi bilaterale ed infine emianopsia bitemporale. Lo scotoma assoluto parte in corrispondenza del meridiano verticale.

Meningioma del n.o.: alterazioni monolaterali a seconda della sede della compressione.

Lesioni retrochiasmatiche: tutte le volte che ho una lesione retrochiasmatica, avrò una lesione perimetrica bilaterale. Ad esempio, in caso di alterazioni retrochiasmatiche si hanno emianopsie omonime. Man mano che ci si avvicina alla corteccia occipitale, si hanno lesioni estremamente simili, speculari una all’altra. Sono dovute a lesioni vascolari.

In particolare si parla di emianopsia quando un CV è esattamente tagliato a metà, perciò si ha proprio una riga diritta lungo il meridiano 90°-270° e a destra (o a sinistra) si ha una convessità dell’isoptera. Le emianopsie possono essere:

  • bitemporali, cioè tutti e due gli occhi, in genere, sono colpiti. Quindi, in tutti e due gli occhi si è mantenuta la metà nasale;
  • binasali, cioè tutti e due gli occhi, in genere, sono colpiti. Quindi, in tutti e due gli occhi si è mantenuta la metà temporale.
  • Inoltre, possono essere:
  • omonime, nel senso che in tutti e due gli occhi si conservano inalterate le metà temporali o nasali;
  • eteronime, nel senso che in uno dei due occhi si conserva inalterata la metà temporale che corrisponde nell’altro alla metà nasale, o viceversa.

Poi ci sono amputazioni in orizzontale, per cui i paziento vedono la metà sotto ma non vedono la metà sopra. È frequente che tali difetti di non vedere la metà sopra siano monoculari. Quando risulta una metà sola in un occhio, bisogna pensare a dei danni vascolari: in genere, all’otticopatia ischemica è legata un’emianopsia che si chiama altitudinale, vale a dire in alto non è percepito niente e, in genere, ciò accade quando non arriva sangue alla testa del nervo ottico;

Retinite pigmatosa: comporta un campo visivo tubolare, cioè non ha tutta quell’estensione massima secondo i gradi precedentemente citati. Le isoptere si presentano, quindi, abbastanza rotondeggianti e molto ristrette. I soggetti colpiti da tale patologia non riescono a vedere di sera. La malattia inizia da bambini e pian piano perdono la vista, proprio perché dalla periferia la retina è alterata. Il CV risulta tubulare perché alla periferia funzionano i bastoncelli e tale zona serve nella visione notturna.

Blefarocalasi: comporta un’amputazione del campo visivo superiore, proporzionale all’entità dell’abbassamento palpebrale. Si analizza attraverso un programma di screening “visto / non visto”, ossia con la proiezione di stimoli particolarmente luminosi che non possono essere percepiti nell’aree in cui la palpebra fa da “tenda” e copre la visione. Al termine dell’esame si avrà il numero di stimoli visti ed il numero di stimoli non visti; facendo la proporzione tra questi due dati ed il numero totale di stimoli proiettati, si otterrà la percentuale di campo visivo amputato. Tale percentuale è molto importante clinicamente, perché dà la misura del deficit visivo del paziente, oltre ad essere dirimente ai fini legali: una percentuale di amputazione di almeno il 40 % definisce un deficit funzionale in senso medico – legale, quindi non solo estetico, permettendo una correzione chirurgica della blefarocalasi in regime SSN (non possibile con amputazioni inferiori al 40 %, eseguibili solo in solvenza). In caso di correzione chirurgica della blefarocalasi, il campo visivo risulta pertanto fondamentale e deve essere sempre presente in cartella clinica.

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La perimetria non convenzionale FDT

La perimetria non convenzionale FDT (acronimo inglese per Frequency Doubling Techonology) è una tecnologia che studia selettivamente la sensibilità di una specifica popolazione di cellule neuronali retiniche, le cellule ganglionari dette di tipo “My”.

Tali cellule rappresentano il 3-5 % del totale delle cellule nervose retiniche e sono sensibili a stimoli di bassa frequenza spaziale ed alta frequenza temporale. Queste sono le prime cellule nervose ad alterarsi e a perdere la loro funzione in caso di danno da glaucoma: proprio per questo è indicato esclusivamente per pazienti con sospetto di glaucoma o ipertensione oculare, con esito normale all’esame del campo visivo convenzionale. Un deficit al campo visivo convenzionale è evidenziabile solo se almeno il 40 % delle fibre nervose che compongono un fascio è alterato: la tecnica FDT permette di rilevare più precocemente eventuali danni da glaucoma, evidenziando deficit correlati ad alterazioni delle fibre nervose anche inferiori al suddetto 40 %.

Il paziente si accomoda su una sedia e appoggia la testa su un apposito strumento, la cui disposizione permette l’analisi di un singolo occhio escludendo dalla visione il controlaterale: si analizza sempre un occhio per volta affinché eventuali difetti a carico di un occhio non vengano mascherati dalla funzionalità dell’altro. Viene dato in mano al paziente un pulsante da premere ogni volta che vede proiettata sullo schermo dello strumento una griglia di forma quadrata o tonda, composta da barre bianche e nere alternate tra loro e proiettate in una certa porzione del campo visivo. Tali barre hanno caratteristiche di bassa frequenza spaziale ed alta frequenza temporale (proprio per stimolare solamente le cellule ganglionari di tipo “My”, come detto sopra), e ne viene variato il contrasto di presentazione. Grazie a tali caratteristiche, il numero delle barre appare raddoppiato: da qui il nome di perimetria a duplicazione di frequenza. E’ importante che il paziente fissi una mira centrale, composta da un punto nero posto al centro dello schermo dello strumento stesso, per rendere l’esame attendibile: ciò che si vuole valutare è, appunto, se non vi siano delle aree di minor sensibilità nel campo visivo, quindi nella porzione di spazio che si percepisce mantenendo l’occhio fisso. Terminato l’esame con il primo occhio, si procede allo stesso modo per il secondo spostando la disposizione dello strumento ove si appoggia la testa.

L’analisi viene effettuata nei 30° centrali permettendo di effettuare esami di screening in 45 secondi ed esami di soglia piena in meno di 4 minuti con stampa dei valori e relativi grafici: il grado di ombreggiatura delle mappe risultanti corrisponde alla significatività del difetto registrato in quella data porzione del campo visivo. Vengono forniti, inoltre, gli indici perimetrici ed i parametri di attendibilità, proprio come nella perimetria convenzionale.
Il paziente deve sempre portare i propri occhiali con sé, perché se il difetto visivo supera una certa entità l’esame viene condotto con l’ausilio dei propri occhiali per lontano. Questo esame non prevedere l’utilizzo di alcun collirio.

La perimetria FDT è oggi la strategia non convenzionale più diffusa, sia per la rapidità d’esame, sia per la facilità d’impiego e comprensione da parte del Paziente che esegue l’esame, sia per la sua buona sensibilità nel rilevare i difetti glaucomatosi iniziali. Inoltre, offre il vantaggio di essere scarsamente influenzata dalla presenza di opacità dei mezzi diottrici (ad esempio l’opacità del cristallino, alias cataratta) e di essere relativamente indipendente dalla correzione ottica necessaria al Paziente.

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Topografia corneale

Cos'è la Topografia corneale?

Definizione di topografia corneale

Per esame della topografia corneale 
s’intende la misurazione del potere refrattivo della superficie anteriore della cornea. Il potere diottrico della cornea dipende al 90% dall’interfaccia aria-cornea. Con il cheratometro si ottengono le misure per l’astigmatismo regolare, mentre il topografo dà anche le misure esatte dell’astigmatismo irregolare utilizzando il disco di placido). Il topografo si compone di vari elementi, i quali sono:
  1. l’elaboratore dei dati , cioè il computer;
  2. la proiezione di mire, le quali sono date da cerchi concentrici, uno bianco e uno nero in modo alterno.
Topografia corneale Refrattiva

Preparazione del paziente all'esame

Di seguito le indicazioni per la preparazione del paziente per l’esecuzione della topografia corneale:

  1. innanzitutto è essenziale, e questo lo si verifica tramite la biomicroscopia con lampada a fessura, l’integrità dell’epitelio corneale e del film lacrimale, poiché le alterazioni sia dell’epitelio corneale sia del film lacrimale (alterate la trasparenza e la specularità della cornea) non permettono sempre l’acquisizione e l’elaborazione di immagini di qualità. Con l’assenza di integrità dello strato epiteliale, non è possibile la formazione di un’immagine cheratoscopica utile alla processazione da parte del computer. Dove lo strato epiteliale non è regolare, non si forma una buona immagine di questi anelli, per cui il computer non riuscirà a processare l’immagine e a ricavare i dati. Quando l’epitelio non è regolare, ad esempio il computer salterà l’anello nel corso della processazione; in questo modo considera lo spazio tra i due anelli successivi aumentato e nell’elaborazione lo presenterà come una zona di appiattimento corneale;
  2. i portatori di LAC devono sospendere l’applicazione almeno 72 ore prima dell’esame, anche se caratteristiche impronte corneali secondarie all’applicazione delle LAC sono osservabili talora a distanza di settimane dal loro impiego;
  3. inoltre, è opportuno che prima dell’esame non vengano utilizzati nel paziente cosmetici, i quali possono alterare la secrezione e la composizione del film lacrimale, creando artefatti. Se si forma il deposito di cosmetico, il film lacrimale diventa più grasso e non si riesce ad avere una buona immagine;
  4. il paziente va correttamente posizionato all’apparecchio video-cheratoscopico;
  5. in particolare, negli apparecchi dove si ha un’elevata distanza tra la cupola cheratoscopica e l’occhio del paziente, il capo di quest’ultimo va leggermente ruotato nasalmente, per evitare che l’ombra del naso occulti il riflesso degli anelli cheratoscopici;
  6. bisogna invitare il paziente a fissare la mira luminosa centrale;
  7. in alcuni pazienti un’insufficiente apertura della rima palpebrale può impedire l’esplorazione topografica. In questo caso sarà l’operatore ad allargare la rima, stando ben attento a non schiacciare la cornea per non deformarla. Per cui si appoggeranno le dita sul paziente solo sulle regioni periorbitarie che appoggiano su strutture ossee e non sulle parti molli;
  8. a volte il bulbo oculare, soprattutto nell’anziano e nell’ipermetrope, può essere molto infossato. Quando è molto infossato, sia le arcate orbitarie sia il naso proiettano delle ombre non eliminabili;
  9. in alcune patologie del segmento anteriore (SA), come:
    • causticazioni;
    • esiti di ulcere corneali;
    • processi proliferativi invasivi cheratocongiuntivali (cioè lo pterigio, quando la congiuntiva si porta sulla cornea),si riscontrano frequentemente immagini estremamente irregolari con anelli distorti, incompleti o addirittura assenti.
  10.  

In tutti questi casi l’attendibilità della topografia va valutata area per area, poiché anelli cheratoscopici idonei possono essere presenti solo localmente. Tuttavia, anche un’area non processabile, vale a dire con questi anelli alterati, offre un’informazione utile, perché spesso giustifica una condizione di basso visus; questo vale anche come valore legale.

L’epifora (cioè quella caratteristica presente in coloro che hanno una stenosi più o meno marcata dei puntini lacrimali e che comporta un’abbondante lacrimazione dell’occhio che residua maggiormente in prossimità del bordo palpebrale inferiore) può complicare la ripresa dell’immagine, con possibili artefatti da ipercurvatura.

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La superficie corneale

Sempre per quanto riguarda la superficie corneale, essa può essere suddivisa topograficamente in 4 zone:

1. Quella centrale , cioè quella analizzata anche con il cheratometro. Ha un diametro di 3,4 mm ed è la regione più importante dal punto di vista ottico per la sua:

  • maggiore sfericità;
  • maggiore simmetria;
  • corrispondenza con la pupilla e l’asse visivo.

L’apice corneale, contenuto in questa zona, è il punto intorno al quale, se il paziente fissa correttamente, si ottiene la centratura degli anelli cheratoscopici. Nel cheratocono l’apice corneale non è più nella zona centrale, perché esso si decentra e la zona di sfiancamento è più frequente nel settore infero-nasale;

2. Quella paracentrale o intermedia. Si estende dai 4 ai 7mm, appiattendosi progressivamente;

3. Quella periferica. Di forma anulare, si estende tra i 7 e gli 11mm. E’ la regione dove si registra l’appiattimento maggiore;

4. Quella limbare. Larga 0,5 mm, raccorda la zona periferica con la sclera. Assume una notevole importanza poiché sede di processi patologici e di procedure chirurgiche.

L’apice corneale rappresenta il punto di massima altezza rispetto al piano irideo, oltre ad essere il punto di massima curvatura corneale. Esso, di norma, è localizzato un poco temporalmente rispetto al centro pupillare.

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L'utilità

La topografia corneale risulta utile in tutti quei casi di cheratoconi ed in tutti quei casi in cui si hanno delle modificazioni periferiche della curvatura corneale conseguenti a traumi, a processi neoformativi (pterigio) ad interventi chirurgici: quindi, in tutti i casi di chirurgia refrattiva.

La valutazione

Quando si ha la proiezione degli anelli, bisogna valutare, per vedere se si ha una buona immagine, le seguenti caratteristiche:

La regolarità di forma:

  1. se si vede che si ha la proiezione degli anelli regolare, ciò indica già una superficie con buone caratteristiche ottiche, quindi potenzialmente in grado di consentire un buon visus;
  2. un’irregolarità di forma degli anelli lungo un asse è indice di astigmatismi regolari;
  3. una deformazione localizzata solo in una determinata zona con schiacciamento degli anelli è indice di astigmatismi irregolari, come il cheratocono;

Il contrasto. Gli anelli in questo caso appaiono bianchi e ben contrastati rispetto al fondo. Negli occhi con iridi chiare, l’immagine degli anelli può non avere un contrasto sufficiente rispetto allo sfondo chiaro dell’iride; in questo caso il topografo fatica ad elaborare l’immagine, perciò è utile avere anche un ambiente buio o con scarsa illuminazione;

La continuità degli anelli indica una superficie uniformemente regolare, mentre l’interruzione testimonia la presenza di aree irregolari, otticamente scadenti. E’ necessario controllare se queste interruzioni sono dovute:

  • ad un’irregolarità della cornea;
  • oppure a rotture del film lacrimale o secrezione soprastante. Se si vede che il film lacrimale è scarso, si possono utilizzare anche le lacrime artificiali per ottenere una buona immagine;

La circolarità. Quando gli anelli si presentano circolari, non vi sarà astigmatismo. Al contrario, una loro ovalizzazione è indice di astigmatismo;

La simmetria. La simmetria degli anelli è l’evidenza di un’omogenea distribuzione del potere diottrico. L’assimetria indica una forte variazione del potere diottrico nelle varie zone corneali, come avviene, ad esempio, negli astigmatismi irregolari;

La deformazione. Le deformazioni degli anelli sono associate alla presenza di astigmatismi irregolari. Importanti sono quelle alterazioni riscontrate in area pupillare, perché spesso associate a basso visus essendo centrali. Queste condizioni sono difficilmente correggibili con l’occhiale, perciò l’unica soluzione è la LAC;

La distanza fra gli anelli. Maggiore è la distanza fra gli anelli e minore sarà il potere diottrico, in pratica l’esame è stato effettuato su di una cornea piatta. Per cui se il valore normale è 43D, in questo caso si avranno solo 41, 40D. All’opposto, anelli molto vicini sono indice di una cornea molto curva;

L’assenza degli anelli cheratoscopici. Indica un totale sconvolgimento anatomico, ad esempio nei leucomi corneali.

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La scala topografica

Per scala topografica s’intende la trasformazione dei dati numerici in una sequenza di colori. I colori della mappa non sono i colori presenti effettivamente sulla superficie corneale: si parla, infatti, di pseudocolori, vale a dire ad ogni colore corrisponde un valore numerico, il quale equivale al raggio di curvatura corneale o il suo equivalente potere diottrico. La scala dei colori è di facile e rapida interpretazione.

Asportazione e ricostruzione di neoformazioni palpebrali

Attenzione: la pagina contiene immagini di intervento chirurgico.
Le immagini potrebbero urtare la sensibilità dei lettori.

In oftalmoplastica la difficoltà maggiore non è nella “demolizione”, ma nella ricostruzione che deve considerare non solo l’esito funzionale, ma anche l’esito estetico.

Obiettivo delle ricostruzioni

  • Garantire la protezione del bulbo oculare
  • Ripristinare/conservare un buon campo visivo
  • Preservare al meglio l’estetica del volto

Regole di Mustardè

  • Non è lecito demolire la palpebra superiore per ricostruire la palpebra inferiore
  • E’ lecito servirsi della palpebra inferiore per ricostruire la superiore e di tessuti meno differenziati per la ricostruzione della stessa palpebra inferiore
  • Un difetto non superiore o pari ad ¼ della lunghezza palpebrale può essere riparato per diretto accostamento dei margini e la palpebra deve essere suturata in 3 piani
  • I ¾ di lunghezza palpebrale residua permettono una normale posizione e funzione della palpebra stessa

Elementi di ricostruzione

  • Sutura diretta
  • Lembi
  • Innesti
  • Impianti

Sutura diretta

Esempi di asportazione di neopormazioni benigne tramite sutura diretta della palpebra inferiore

sutura diretta 1
sutura diretta 2

Lembi

Tessuto o tessuti trasferiti o trapiantati da una sede donatrice ad una ricevente mantenendo integra la propria circolazione (peduncolo che ha la funzione di assicurare la nutrizione del lembo stesso). Si isolano vene ed arterie proprie del lembo e si esegue una microanastomosi del peduncolo vascolare nella sede ricevente: trapianto di tessuto. I lembi utilizzati si differenziano per:
  • Vascolarizzazione (casuale, a peduncolo noto, mono peduncolato o pluripeduncolato)
  • Forma (piani o tubolari)
  • Sede di origine (lembi di vicinanza o lembi a distanza)
  • Movimento (di avanzamento, di rotazione, di traslazione)
  • Composizione (semplici o composti)
Lembo di avanzamento
lembo di avanzamento
Lembo di trasposizione
lembo di trasposizione 1
Lembo di trasposizione temporale sovra-orbitario
lembo di trasposizione

Lembo di scorrimento (Tenzel)

lembo di rotazione

Innesti

Gli innesti si classificano in:

  • Autologo (stessa persona)
  • Omologo (altre persone)
  • Eterologo (pericardio bovino, valvole biologiche maiale)

Ricostruzione palpebrale mediante innesto libero di cute.
Gli innesti liberi di cute vengono prelevati da:

  • Palpebra superiore
  • Superficie retroauricolare
  • Regione sopraclaveare
  • Regione inguinale
innesto libero di cute

Ricostruzione palpebrale mediante innesto libero di mucosa

innesto libero di mucosa

Ricostruzione palpebrale mediante innesti compositi

  • Innesto tarso congiuntivale
  • Condro mucoso
  • Palpebra a tutto spessore

Lembo di Mustardè con innesto cartilagineo

innesto cartilagineo
Innesto libero dermo adiposo
innesto dermoadiposo

Impianti

I materiali “alloplastici” (o impianti) sono presidi di origine non biologica o biologica di sintesi, utilizzati per vari scopi, solitamente di riempimento o di correzione di deformità.

Protesi in silicone, PMMA,  in madrepora naturale o sintetica semplici o animate, in titanio, in oro etc.

Esistono anche materiali iniettabili per la correzione di difetti di minore entità, utilizzati con gli stessi criteri delle protesi.

impianti
Ricostruzione palpebrale mediante impianto
impianto

Epitesi, protesi esterne applicabili, utili per sostituire e simulare organi avulsi e non più ricostruibili: per l’orbita, il naso e per l’orecchio

epitesi

Ricostruzioni per siti di paralisi del VII nervo cranico: impianto di peso d’oro

Attenzione: la pagina contiene immagini di intervento chirurgico.
Le immagini potrebbero urtare la sensibilità dei lettori.

FASE 1.
Paralisi del VII periferica

impianto peso oro 1

FASE 2.
Incisione della cute alla plica; si confeziona tasca sovratarsale nel muscolo orbicolare

impianto peso oro 2

FASE 3.
Peso d’oro

impianto peso oro 4

FASE 4.
Peso d’oro

impianto peso oro 3

FASE 5.
Sutura con filo non riassorbibile

impianto peso oro 5

FASE 6.
Sutura cutanea

impianto peso oro 7

Ricostruzioni di cavità anoftalmica

Cos'è la cavità anoftalmica?

La perdita di un occhio per un tumore, un trauma o come ultimo stadio di una malattia oculare costituisce una condizione drammatica per il paziente. Il trauma psicologico può essere enorme. Il chirurgo oculoplastico deve affrontare molti problemi tecnici ma nello stesso tempo deve fornire al paziente un supporto psicologico e umano per fargli accettare una condizione difficile.

Se un occhio deve essere asportato, la chirurgia ricostruttiva deve raggiungere una serie di obiettivi:

  • Riempire la cavità orbitaria con un impianto protesico (endoprotesi) di volume adeguato e stabile nel tempo.
  • Ricostruire o mantenere i fornici congiuntivali tali da avere uno spazio, fra l’impianto e la parte posteriore delle palpebre, ricoperto da una congiuntiva normale, con fornici abbastanza profondi da contenere una protesi estetica (epitesi) che possa avere un movimento residuo.
  • Le palpebre devono avere una posizione ed una funzionalità normale conformandosi all’epitesi.
  • La palpebra superiore deve presentare una piega palpebrale il più possibile simmetrica a quella controlaterale.
  • Le ciglia e il margine palpebrale devono avere una direzione e posizione normale.
  • Deve esserci una buona trasmissione di mobilità fra l’endoprotesi e l’epitesi.
  • L’epitesi deve avere una simmetria e un aspetto simile all’occhio controlterale

Epitesi estetica

Oltre ai tumori, dove bisogna fare interventi più aggressivi, nella chirurgia della tisi bulbare, complicata o no dall’infezione nel bulbo, sono praticati due interventi che sono l’eviscerazione e l’enucleazione. L’enucleazione bulbare consiste nell’asportazione di tutto il bulbo, mentre sono lasciati i tessuti annessi al bulbo e alla cavità orbitaria. L’eviscerazione bulbare è la rimozione del contenuto del bulbo, lasciando lo strato esterno, la sclera ed i muscoli extraoculari ancorati.
Vi sono inoltre condizioni cliniche ove per ragioni diverse ci si trova di fronte a bulbi in tisi o a cavità contratte per interventi pregressi ove non fu impiantato una protesi interna.


Bisogna sempre avvertire il paziente che un occhio tisico, traumatizzato può generare una reazione anticorpale contro i tessuti all’interno dell’occhio malato che andranno ad aggredire i tessuti dell’occhio “adelfo” dando luogo all’ oftalmopatia simpatica. Si tratta di una condizione rara, ma che compromette l’acuità visiva dell’occhio vedente.

Spesso i pazienti sono restii a farsi operare per una tisi bulbare, salvo che non vi sia oftalmite e abbiano dolore, forse rimane in loro la speranza che si possa trovare qualcosa che nel futuro restituisca loro la vista. Bisogna essere onesti e dire che un occhio cieco, tisico, deformato, con un contenuto calcificato non potrà mai riprendere una funzione visiva. L’occhio in tisi, cieco senza alcuna possibilità di recupero della vista presenta un volume ridotto. La sclera e la cornea sono “accartocciati”, possono diventare opaca o bianca ma rimane sensibile e quindi presentarsi come “bulbi dolenti ciechi”. All’interno del bulbo vi sono calcificazioni; può esserci infezione e in questo caso il paziente ha un vivo dolore. Il paziente è obbligato spesso a controllare il dolore con farmaci sistemici.

La tisi bulbare è la condizione finale di malattie infettive o di traumi dell’occhio; in altri casi, il bulbo diventa tisico in seguito ad interventi chirurgici quali il distacco di retina o il glaucoma. Un occhio in tisi e cieco induce alterazioni della posizione della palpebra superiore, che presenta una pseudoptosi, ovvero una ptosi secondaria a mancato volume bulbare sottostante.


A volte, quando il paziente rifiuta un intervento ricostruttivo viene consigliata l’apposizione di una epitesi, per coprire la superficie del bulbo, offrendo una soluzione puramente estetica. L’epitesi FOTO è una protesi che è costruita su misura per il paziente con una colorazione simile a quella dell’occhio non ammalato. Una semplice applicazione di un’epitesi non costituisce la soluzione ottimale, perché non vengono raggiunti gli obiettivi sopraindicati.  Inoltre, quando la cornea è sensibile, appoggiarvi sopra l’epitesi da persistenza del dolore.


Nei casi in cui invece per ragioni diverse, dopo l’asportazione del bulbo o del suo contenuto non è stata inserita una protesi interna si va incontro ad un problema altrettanto impossibile da risolvere, ovvero al fatto che l’epitesi costruita, per sopperire alla retrazione del bulbo, è voluminosa, quindi pesante tanto da non poter essere portata in quanto non rimane in sede con il risultato è che l’epitesi determina infiammazione dei fornici congiuntivali, con infezione e retrazione delle palpebre.


La chirurgia consiste nell’asportazione del tessuto patologico con l’inserimento finale di un’endoprotesi, che sarà calibrata nel diametro per ottenere un volume sufficiente a riempire la cavità orbitaria. Esistono infatti in commercio diversi tipi di endoprotesi che oggi vengono usualmente impiegate, e variano sia nel diametro, che va da un minimo di 14mm ad un massimo di 22 mm, sia nel tipo di materiale di cui sono costituite. Le più usate sono:

  • endoprotesi di silicone
  • endoprotesi di idrossiapatite
  • endoprotesi di medpor
  • endoprotesi di Valan
  • endoprotesi di Allen
  • impianto dermograssoso
  • impianto di Guthoff
  • Espansore cavitario
  • Sfera in PMMA (polimetilmetacrilato)
  • Conformatori


Endoprotesi di silicone
: sono sfere di silicone, la cui unica controindicazione consiste nel fatto che anche dopo molti anni dall’impianto possono venire improvvisamente espulse o si dislocano. In questi pazienti si deve ricorrere quindi ad un reimpianto di idrossiapatite oppure ad un impianto dermograssoso.

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sfera silicone

Endoprotesi di idrossiapatite o di MEDPOR: l’idrossiapatite come biomateriale per impianto orbitario è un sale inorganico prodotto sinteticamente, ma molto simile alla composizione minerale dell’osso umano. Dopo l’impianto questo materiale viene colonizzato da tessuto fibrovascolare dalle strutture circostanti, I vantaggi dell’uso della biglia di idrossiapatite, a fronte di un costo molto elevato sono minor rischio di migrazione e di estrusione Nell’intervento di eviscerazione viene inserita direttamente nel guscio sclerale ripulito, mentre nell’intervento di enucleazione é importante rivestirla di materiale autologo quale la sclera o la fascia temporale ove vengono riancorati i muscoli extraoculari.

Idrossiapatite

Endoprotesi di Allen: L’uso di un impianto integrato, cioè un impianto in cui i muscoli extraoculari vengono fissati all’impianto, può dare luogo ad una rotazione leggermente migliore, anche se vi è per contro una maggiore possibilità di espulsione.

New Allen

Innesto dermoadiposo: è consigliato in tutti quei pazienti in cui gli altri tipi di endoprotesi hanno creato delle complicanze soprattutto quando se ne ha l’estrusione, ove la cavità è coartata, ove siano state impiantate precedentemente protesi inadeguate per volume. E’ intervento elettivo nei casi di mutilazioni pregresse senza alcun impianto endorbitario. Il prelievo di tale materiale va eseguito o a livello dei quadranti addominali inferiori o a livello dei glutei. E’ importante che l’innesto sia sempre lievemente sovrastimato nel volume programmando un inevitabile riduzione dello stesso nel tempo.

Impianto di Guthoff: impianto per enucleazione. E’ costituito da una semisfera anteriore in idrossiapatite ed una posteriore di elastomero siliconico. Vantaggi dell’idrossiapatite, ottimo rivestimento dei tessuti, e quelli del silicone, libero movimento all’interno della cavità orbitaria. E’ necessario il conformatore post-operatorio.

Guthof

Espansore cavitario: impianti che si espandono progressivamente all’interno della cavità anoftalmica. Sono stati ideati appositamente per i casi di anoftalmia congenita dove è spesso presente un marcato iposviluppo della regione orbitale e degli annessi. Scarsamente utilizzati a causa dei risultati contrastanti ottenuti con questo metodo.

Espansore cavitario

Sfera in PMMA (polimetilmetacrilato): impianto molto utilizzato in passato ma ancora preferito da alcuni chirurghi soprattutto in virtù del suo costo molto basso. Utilizzato sia per eviscerazione che per enucleazione ma a causa della sua rigidità è preferibile impiegarlo nell’enucleazione semplice. Movimento limitato ed un discreto riempimento della cavità anoftalmica.

pmma

Conformatori: protesi provvisoria generalmente bianca (senza iride e vene dipinte) che si applica subito dopo l’intervento di enucleazione o eviscerazione per evitare la retrazione della cavità e mantenere la pervietà dei fornici nei quali andrà a collocarsi la protesi. Ha forma ovoidale e la sua applicazione è sufficiente per mantenere l’ampiezza della cavità per molte settimane. Vasta scelta di conformatori: in PMMA, in silicone medicale, in resina acrilica,con o senza perforazione centrale per l’instillazione di colliri e pomate.

Conformatore compressivo: utilizzato tramite apposito bendaggio, sfrutta una forza applicata dall’esterno per favorire la ritenzione della protesi nelle cavità dove è richiesta maggior capacità contenitiva oppure dove si deve aumentare la dimensione dei fornici.

Conformatori

È molto importante quindi che il chirurgo prima dell’intervento discuta con il paziente e i familiari il tipo di procedura chirurgica che intende seguire, i vari tipi di endoprotesi disponibili oggi in commercio e i vantaggi e gli svantaggi di ognuno di essi per il caso specifico. Soprattutto nel periodo postoperatorio sarà bene spiegare le varie fasi della riabilitazione estetica, dal giorno dell’intervento sino al giorno dell’applicazione della protesi esterna.

Exenteratio orbitae

Attenzione: la pagina contiene immagini di intervento chirurgico.
Le immagini potrebbero urtare la sensibilità dei lettori.

exenteratio orbitae 1

FASE 1.
Exenteratio orbitae allargata

FASE 2.
Endoloop utilizzato per clampare il peduncolo vascolare orbitario

exenteratio orbitae 2

FASE 3.
Controllo dell’esposizione della parete ossea orbitaria al fine di poter seguire il corretto piano di clivaggio

exenteratio orbitae 3

FASE 4.
Orbitae exenterata in blocco

exenteratio orbitae 5

FASE 5.
Radicalizzazione ossea

exenteratio orbitae 4

FASE 6.
Lembo libero di cute di chiusura

exenteratio orbitae 6

FASE 7.
Esito post operatorio

exenteratio orbitae 7