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Campo visivo

Cos'è il campo visivo?

Definizione di campo visivo

Il campo visivo è la porzione di spazio che un occhio è in grado di percepire fissando un punto.

Esiste un gradiente di sensibilità della retina nei vari punti; tridimensionalmente, il campo visivo è assimilabile ad una montagna della visione: all’apice (fovea) la sensibilità è massima, in periferia tende a zero (a livello della macchia cieca è zero). Punti aventi uguale sensibilità retinica, uniti tra di loro, delimitano isoptere che sono sezioni trasversali della suddetta montagna.

La fovea, ove vi sono esclusivamente coni come fotorecettori, è il punto di maggiore sensibilità: si apprezzano mire luminose molto piccole e anche poco luminose, per cui essa è molto sensibile. I coni sono deputati:

  1. alla visione alla luce;
  2. alla visione ai colori;
  3. alla visione dei particolari, ad esempio per la lettura;

In periferia la sensibilità diminuisce. Sono zone di retina che fanno più fatica a percepire lo stimolo luminoso, anche perché in periferia si hanno sempre di più bastoncelli, i quali sono deputati alla visione al buio: proprio per questo motivo si nota che nell’isola della visione la sensibilità diminuisce.

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Con la campimetria computerizzata, i punti della sensibilità retinica si misurano in decibel: maggiore è la sensibilità retinica, maggiore è il numero di decibel. La macchia cieca corrisponde alla testa del nervo ottico, cioè l’area da cui si dipartono tutte le fibre nervose che collegano l’occhio al cervello; dal punto di vista perimetrico, tale area ha una sensibilità pari a zero decibel (da qui “macchia cieca”).

Per esame del campo visivo, nel senso più generale del termine, dovrebbe intendersi la rilevazione topografica della funzione visiva di tutta la retina dotata di capacità recettiva dello stimolo o retina visiva; perciò, teoricamente, si dovrebbe riuscire a prendere tutta la retina dove si hanno le cellule, coni o bastoncelli (retina visiva o neuroretina).

In realtà, il campo visivo fisiologico si estende:

  1. oltre i 90° temporalmente;
  2. 60° nasalmente;
  3. 60° superiormente;
  4. circa 70° inferiormente.

Questo perché si hanno degli ostacoli naturali, i quali sono:

  1. l’arcata frontale;
  2. il naso;
  3. lo zigomo.

Essi, appunto, limitano l’estensione del CV reale della retina.

Solitamente si parla di campimetria e di perimetria utilizzando tali vocaboli come sinonimi: in realtà, per perimetria si intende lo spazio massimale che un occhio percepisce intorno a sé guardando dritto un punto; per campimetria si intende lo studio di una porzione del suddetto spazio, ad esempio i 30 ° centrali.

La fovea, ove vi sono esclusivamente coni come fotorecettori, è il punto di maggiore sensibilità: si apprezzano mire luminose molto piccole e anche poco luminose, per cui essa è molto sensibile. I coni sono deputati:

  1. alla visione alla luce;
  2. alla visione ai colori;
  3. alla visione dei particolari, ad esempio per la lettura;

In periferia la sensibilità diminuisce. Sono zone di retina che fanno più fatica a percepire lo stimolo luminoso, anche perché in periferia si hanno sempre di più bastoncelli, i quali sono deputati alla visione al buio: proprio per questo motivo si nota che nell’isola della visione la sensibilità diminuisce.

Con la campimetria computerizzata, i punti della sensibilità retinica si misurano in decibel: maggiore è la sensibilità retinica, maggiore è il numero di decibel. La macchia cieca corrisponde alla testa del nervo ottico, cioè l’area da cui si dipartono tutte le fibre nervose che collegano l’occhio al cervello; dal punto di vista perimetrico, tale area ha una sensibilità pari a zero decibel (da qui “macchia cieca”).

Per esame del campo visivo, nel senso più generale del termine, dovrebbe intendersi la rilevazione topografica della funzione visiva di tutta la retina dotata di capacità recettiva dello stimolo o retina visiva; perciò, teoricamente, si dovrebbe riuscire a prendere tutta la retina dove si hanno le cellule, coni o bastoncelli (retina visiva o neuroretina).

In realtà, il campo visivo fisiologico si estende:

  1. oltre i 90° temporalmente;
  2. 60° nasalmente;
  3. 60° superiormente;
  4. circa 70° inferiormente.

Questo perché si hanno degli ostacoli naturali, i quali sono:

  1. l’arcata frontale;
  2. il naso;
  3. lo zigomo.

Essi, appunto, limitano l’estensione del CV reale della retina.

Solitamente si parla di campimetria e di perimetria utilizzando tali vocaboli come sinonimi: in realtà, per perimetria si intende lo spazio massimale che un occhio percepisce intorno a sé guardando dritto un punto; per campimetria si intende lo studio di una porzione del suddetto spazio, ad esempio i 30 ° centrali.

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Come si misura il campo visivo

Può essere misurato con tecniche grossolane, oppure elaborate e fini.

Con le dita. L’esaminatore sta davanti al paziente (il quale fissa dritto davanti a sé il dito di una mano) e valuta la percezione del movimento di un dito dell’altra mano nello spazio. In buona sostanza, l’esaminatore valuta il campo visivo del paziente confrontandolo con il proprio: si parla, appunto, di campo visivo confrontazionale. Si possono valutare così patologie grossolane. È una planimetria cinetica.

Con il perimetro di Goldmann. Si inizia con una mira grande e luminosa proiettata in senso centripeto e solitamente vista già con la periferia del campo visivo (si formerà conseguentemente un’isoptera ampia), via via passando a mire più piccole e meno luminose che saranno viste più centralmente (si formeranno isoptere più piccole). Si usano determinate grandezze delle mire a seconda della patologia del paziente. E’ anch’essa una planimetria cinetica e si usa per patologie più complesse. È possibile proiettare singoli spot in alcune aree che meglio si vogliono esaminare: ad esempio, per individuare la macchia cieca oppure aree circoscritte di minor sensibilità retinica. Si potrà in tal modo determinare la presenza di scotomi assoluti (zona in cui il paziente non percepisce nemmeno la mira più grande e più luminosa utilizzata) e di scotomi relativi (zona in cui il paziente percepisce solo le mire più grandi e più luminose; a seconda della grandezza e della luminosità di tali mire, si parlerà di scotoma relativo più o meno profondo). Al termine dell’esame si otterrà uno schema caratterizzato da linee curve (le isoptere), più o meno concentriche, e da aree scotomatose circoscritte (la macchia cieca). Per quanto riguarda la macchia cieca, lo scotoma dovrebbe mostrarsi assoluto, vale a dire proprio che il paziente non vede nessuna luminosità, solo al centro, per un’estensione di 8° in altezza e di 6° in larghezza: perciò la macchia cieca è ovalare a maggior asse verticale. Invece, la sua estensione come scotoma relativo, cioè vuol dire che se si aumenta leggermente la luminanza il paziente percepisce la mira, dovrebbe giungere, in media, ad un’altezza di quasi 14° ed una larghezza di quasi 10°. La sede fisiologica della macchia cieca in senso orizzontale dovrebbe essere compresa tra i 10-11° medialmente e 20-21° temporalmente, mentre nel senso dell’altezza essa dovrebbe non sorpassare i 20° sopra ed i 30° sotto il meridiano orizzontale. Un soggetto molto miope, ad esempio di –20D, ha una macchia cieca molto allargata, più larga. È fisiologico trovare nel miope elevato una macchia cieca più grande, questo perché in un occhio miope è tutto più stirato, più grande.

Con la perimetria computerizzata. Quest’ultima rappresenta un’evoluzione della perimetria manuale: si è passati dal manuale al computerizzato per associare all’isoptere dei numeri, maggiormente precisi e distribuiti in modo più capillare. Il computer ha pertanto rimpiazzato il Goldmann tranne nei casi molto avanzati di glaucoma o in anziani con un visus molto ridotto, quando si vuole misurare la sensibilità di isolotti eccentrici; in patologie neurologiche con alterazioni grossolane del campo visivo (emianopsie), la perimetria manuale può avere ancora una sua ratio in quanto riduce il tempo d’esecuzione. È una planimetria statica. È detta White-White in quanto gli spots luminosi sono di tonalità bianca e vengono proiettati su di uno sfondo bianco.

Il computer proietta singoli spot luminosi in alcuni punti predefiniti dell’area che si vuole analizzare. A seconda della luminosità percepita, si hanno dei valori in decibel che misurano appunto la sensibilità retinica. La proiezione nello stesso punto è multipla, cioè il computer proietta luci di maggior e di minor intensità; questa è la strategia di soglia: perché arriva a definire un numero al di sopra della quale, la luce non è vista. Si vedano le differenze fra soglia e sensibilità, come termine.

La soglia è una caratteristica della mira. Le mire caratterizzate da un’alta soglia sono molto luminose:

  1. una mira soglia ha un livello di luminanza tale da permettere la sua discriminazione il 50% delle volte che viene presentata in una determinata locazione;
  2. le mire soprasoglia sono di intensità luminosa superiore alla soglia e dovrebbero essere, in teoria, sempre discriminate; una mira luminosissima è sicuro che venga vista dal paziente e se non la vede c’è qualche motivo: o il paziente non è attento, in genere, o è stanco dell’esame che sta facendo;
  3. le mire sottosoglia, viceversa, sono di intensità luminosa inferiore alla soglia e, in teoria, non dovrebbero essere mai discriminate.

La sensibilità, invece, è una caratteristica della retina e si misura determinando la soglia luminosa differenziale in diverse aree; quindi:

  1. ci sono delle aree di retina dove il paziente è molto sensibile, per cui nota subito lo stimolo;
  2. ci sono quelle meno sensibili, per cui il paziente non nota lo stimolo.

Esiste una relazione di proporzionalità inversa tra soglia e sensibilità: se, in una determinata locazione, la soglia è molto alta (vale a dire sono percepite solo mire molto luminose), la sensibilità retinica in quell’area è molto bassa.

In base all’età del paziente, la sensibilità retinica centrale e la mappa dei valori più periferici avranno un certo andamento. Ciò consente alla macchia di sviluppare 4 grafici:

  1. una mappa in valori numerici espressi in Db;
  2. una mappa in scala di grigi per valutazioni grossolane;
  3. una mappa numerica con lo scostamento dei valori rispetto alla media della popolazione. In base all’età del paziente, è previsto che un soggetto abbia una certa soglia di sensibilità; se il paziente si discosta da tale soglia, la macchina lo rileva e lo indica in termini probabilistici;
  4. una mappa numerica con lo scostamento dei valori rispetto al modello individuale.

Il computer fornisce poi dei singoli numeri che sono gli indici perimetrici: MD e PSD. Sono parametri statistici che descrivono il campo visivo.

MD: difetto medio. E’ la media del difetto valutato in tutti i punti del cv. Il MD è importante in patologie che danno difetti diffusi del cv, ad esempio, in cataratta.

PSD: corrispondente al quadrato della deviazione standard di MD. Nel glaucoma è importante la variabilità della sensibilità retinica. La varianza è un concetto statistico che misura la dispersione in un certo campione. La varianza misura la distanza tra l’osservazione e la media. Più è elevata la varianza, più non è omogeneo il campione. E ciò è utile nel glaucoma.

Altri indici sono:

  1. i falsi negativi, quando il paziente non segnala uno spot la cui luminosità è stata percepita precedentemente
  2. i falsi positivi, quando il paziente segnala uno spot anche se in realtà il computer sta facendo appositamente una pausa nella proiezione;
  3. le perdite di fissazione, quando il paziente segnala anche gli spot proiettati in macchia cieca.

Quando questi indici sono superiori al 15-20%, sono sospetti. Più un esame è preciso, più tecnicamente elaborato e complesso, più informazioni ci darà sullo stato della malattia. Con l’aggravarsi della malattia, l’esame sarà sempre più difficile da eseguire. Inoltre, per l’effetto apprendimento, è importante anche lo stato d’animo del paziente.

Esiste, infine, un grafico dei movimenti dell’occhio rilevati grazie ad una telecamera. Il computer proietta delle luci sull’occhio, le quali danno luogo a dei riflessi corneali ben localizzati. Qualora il paziente muova l’occhio, anche tali riflessi cambiano la loro posizione e si ha la possibilità di registrare i movimenti dell’occhio stesso. Sempre grazie a tali riflessi, si ha la possibilità di registrare gli ammiccamenti dell’occhio: una chiusura prolungata delle palpebre fa scomparire totalmente i riflessi corneali alla telecamera e, quindi, è possibile verificare per quanto tempo il paziente ha tenuto gli occhi chiusi non  potendo vedere gli spots proiettati.

Per test di screening, il computer proietta sempre la stessa luce di una certa grandezza e luminosità (il cosiddetto visto e non visto) La planimetria di screening valuta difetti grossolani ed è molto utilizzata con finalità medico-legali.

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I fattori che influenzano il campo visivo

Sono molto importanti i fattori che influenzano come il paziente può rispondere all’esame; questi fattori sono:

  1. le modificazioni dei mezzi trasparenti oculari. Si ha già un assorbimento intraoculare fisiologico della luce, specie per radiazioni di lunghezza d’onda corta. La luce del visibile va dai 400 agli 800nm; sotto i 400nm c’è l’ultravioletto, mentre sopra gli 800 c’è l’infrarosso. L’uomo vede meglio sui 550, 600nm. Però, se si ha la cataratta, soprattutto se di tipo nucleare, anch’essa assorbe parte della luminosità dello stimolo, per cui il paziente si accorge più tardi dello stimolo e l’isoptera diminuisce d’ampiezza;
  2. il diametro pupillareMiosi che influiscono sul CV fotopico, perciò quello che si esegue normalmente, sono quelle molto marcate, dove il diametro pupillare è inferiore ai 2mm. È possibile trovare ciò nel glaucoma in pazienti che sono in terapia con miotici, quali ad esempio la pilocarpina. Quindi, prima dell’esame bisogna sempre osservare il diametro pupillare;
  3. ametropie. Sulla periferia del CV l’effetto dell’ametropia è meno evidente, mentre nelle zone centrali, quindi al di sotto dei 30°, bisogna correggere l’ametropia. Inoltre, bisogna tenere presente l’eventuale presbiopia, perché il paziente è posizionato a 27 cm dalla cupola ed in genere il CV si esegue in pazienti sopra i 40 anni. Bisogna sempre mettere la correzione che il paziente usa per vicino, poiché la presbiopia deve essere corretta perché il fuoco deve essere quello per vicino. È necessario anteporre la correzione con precisione, anche perché a volte il posizionare la lente in modo decentrato è anche questo una possibile causa di falsi scotomi, dovuti al portalente ed alla placchetta che indica il valore diottrico della lente stessa. La lente deve essere posizionata bene vicino alle ciglia del soggetto, con l’indicatore metallico del valore diottrico verso il naso, in modo tale che rimanga all’interno dello scotoma dovuto al naso. La correzione per vicino nei casi di emmetropia o di ipermetropia si somma alla correzione per lontano, mentre nei casi di miopia si sottrae alla correzione per lontano.
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Esempi di campo visivo

Glaucoma: è una patologia caratterizzata da un aumento della pressione intraoculare; conseguentemente si hanno danni alle fibre nervose che veicolano la sensibilità retinica al cervello, portando ad un progressivo deficit del campo visivo. Tale deficit si può rilevare con la campimetria computerizzata quando l’entità del difetto a carico delle fibre nervose è pari ad almeno 40 %. I fasci più colpiti sono quasi sempre i fasci nervosi temporali; conseguentemente i primi difetti campimetrici si manifestano a livello della porzione nasale e si parla di salto nasale di Roenne (tale denominazione deriva proprio dalla differenza tra la porzione superiore e quella inferiore del campo visivo a livello nasale). Qualora lo stadio della patologia glaucomatosa fosse più avanzato, si ha lo scotoma arciforme di Bjerrum, proprio legato all’andamento ad arco che le fibre nervose del nervo ottico hanno. Nel glaucoma preterminale, è possibile eseguire solo il CV manuale, perché ormai quello computerizzato non si può più fare poiché il paziente ha un basso visus: infatti, se il paziente guarda dritto davanti, non riesce più neanche a vedere 1/10, ma deve guardare con la testa inclinata proprio perché è conservata solamente un’isola temporale, chiamata abbaino temporale. Il CV risulta completamente nero, tranne una zona di visione preservata nell’emicampo temporale. Il fascio nervoso più nobile che può alterarsi è quello interpapillomaculare: se tale fascio viene conservato, si possono conservare ancora i 10/10; se poi viene perso, si ha una progressiva perdita della visione dei particolari fino alla cecità.

Neurite ischemica anteriore: sofferenza della parte anteriore del nervo ottico dovuta o ad arteriosclerosi o ad artrite temporale di Horton. Può essere bilaterale. La perdita del campo visivo è uno scotoma altitudinale.

Neurite ottica: è un’infiammazione del nervo ottico, la cui causa principale è la sclerosi multipla. È una malattia demielinizzante, che porta a deficit di conduzione a livello del nervo ottico dell’informazione visiva. Lo scotoma è centrale o centrocecale. La conduzione dello stimolo nell’arco di mesi tende a ripristinarsi; c’è, pertanto, un progressivo miglioramento dello scotoma. La malattia però tende a recidivare.

Adenoma ipofisario: quando si ha una compressione chiasmatica legata alla presenza di un adenoma ipofisario, si ha una sofferenza di fibre nervose che evolverà fino a dare una emianopsia bitemporale. Può iniziare come quadrantopsia omolaterale, evolversi poi bilaterale ed infine emianopsia bitemporale. Lo scotoma assoluto parte in corrispondenza del meridiano verticale.

Meningioma del n.o.: alterazioni monolaterali a seconda della sede della compressione.

Lesioni retrochiasmatiche: tutte le volte che ho una lesione retrochiasmatica, avrò una lesione perimetrica bilaterale. Ad esempio, in caso di alterazioni retrochiasmatiche si hanno emianopsie omonime. Man mano che ci si avvicina alla corteccia occipitale, si hanno lesioni estremamente simili, speculari una all’altra. Sono dovute a lesioni vascolari.

In particolare si parla di emianopsia quando un CV è esattamente tagliato a metà, perciò si ha proprio una riga diritta lungo il meridiano 90°-270° e a destra (o a sinistra) si ha una convessità dell’isoptera. Le emianopsie possono essere:

  • bitemporali, cioè tutti e due gli occhi, in genere, sono colpiti. Quindi, in tutti e due gli occhi si è mantenuta la metà nasale;
  • binasali, cioè tutti e due gli occhi, in genere, sono colpiti. Quindi, in tutti e due gli occhi si è mantenuta la metà temporale.
  • Inoltre, possono essere:
  • omonime, nel senso che in tutti e due gli occhi si conservano inalterate le metà temporali o nasali;
  • eteronime, nel senso che in uno dei due occhi si conserva inalterata la metà temporale che corrisponde nell’altro alla metà nasale, o viceversa.

Poi ci sono amputazioni in orizzontale, per cui i paziento vedono la metà sotto ma non vedono la metà sopra. È frequente che tali difetti di non vedere la metà sopra siano monoculari. Quando risulta una metà sola in un occhio, bisogna pensare a dei danni vascolari: in genere, all’otticopatia ischemica è legata un’emianopsia che si chiama altitudinale, vale a dire in alto non è percepito niente e, in genere, ciò accade quando non arriva sangue alla testa del nervo ottico;

Retinite pigmatosa: comporta un campo visivo tubolare, cioè non ha tutta quell’estensione massima secondo i gradi precedentemente citati. Le isoptere si presentano, quindi, abbastanza rotondeggianti e molto ristrette. I soggetti colpiti da tale patologia non riescono a vedere di sera. La malattia inizia da bambini e pian piano perdono la vista, proprio perché dalla periferia la retina è alterata. Il CV risulta tubulare perché alla periferia funzionano i bastoncelli e tale zona serve nella visione notturna.

Blefarocalasi: comporta un’amputazione del campo visivo superiore, proporzionale all’entità dell’abbassamento palpebrale. Si analizza attraverso un programma di screening “visto / non visto”, ossia con la proiezione di stimoli particolarmente luminosi che non possono essere percepiti nell’aree in cui la palpebra fa da “tenda” e copre la visione. Al termine dell’esame si avrà il numero di stimoli visti ed il numero di stimoli non visti; facendo la proporzione tra questi due dati ed il numero totale di stimoli proiettati, si otterrà la percentuale di campo visivo amputato. Tale percentuale è molto importante clinicamente, perché dà la misura del deficit visivo del paziente, oltre ad essere dirimente ai fini legali: una percentuale di amputazione di almeno il 40 % definisce un deficit funzionale in senso medico – legale, quindi non solo estetico, permettendo una correzione chirurgica della blefarocalasi in regime SSN (non possibile con amputazioni inferiori al 40 %, eseguibili solo in solvenza). In caso di correzione chirurgica della blefarocalasi, il campo visivo risulta pertanto fondamentale e deve essere sempre presente in cartella clinica.

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La perimetria non convenzionale FDT

La perimetria non convenzionale FDT (acronimo inglese per Frequency Doubling Techonology) è una tecnologia che studia selettivamente la sensibilità di una specifica popolazione di cellule neuronali retiniche, le cellule ganglionari dette di tipo “My”.

Tali cellule rappresentano il 3-5 % del totale delle cellule nervose retiniche e sono sensibili a stimoli di bassa frequenza spaziale ed alta frequenza temporale. Queste sono le prime cellule nervose ad alterarsi e a perdere la loro funzione in caso di danno da glaucoma: proprio per questo è indicato esclusivamente per pazienti con sospetto di glaucoma o ipertensione oculare, con esito normale all’esame del campo visivo convenzionale. Un deficit al campo visivo convenzionale è evidenziabile solo se almeno il 40 % delle fibre nervose che compongono un fascio è alterato: la tecnica FDT permette di rilevare più precocemente eventuali danni da glaucoma, evidenziando deficit correlati ad alterazioni delle fibre nervose anche inferiori al suddetto 40 %.

Il paziente si accomoda su una sedia e appoggia la testa su un apposito strumento, la cui disposizione permette l’analisi di un singolo occhio escludendo dalla visione il controlaterale: si analizza sempre un occhio per volta affinché eventuali difetti a carico di un occhio non vengano mascherati dalla funzionalità dell’altro. Viene dato in mano al paziente un pulsante da premere ogni volta che vede proiettata sullo schermo dello strumento una griglia di forma quadrata o tonda, composta da barre bianche e nere alternate tra loro e proiettate in una certa porzione del campo visivo. Tali barre hanno caratteristiche di bassa frequenza spaziale ed alta frequenza temporale (proprio per stimolare solamente le cellule ganglionari di tipo “My”, come detto sopra), e ne viene variato il contrasto di presentazione. Grazie a tali caratteristiche, il numero delle barre appare raddoppiato: da qui il nome di perimetria a duplicazione di frequenza. E’ importante che il paziente fissi una mira centrale, composta da un punto nero posto al centro dello schermo dello strumento stesso, per rendere l’esame attendibile: ciò che si vuole valutare è, appunto, se non vi siano delle aree di minor sensibilità nel campo visivo, quindi nella porzione di spazio che si percepisce mantenendo l’occhio fisso. Terminato l’esame con il primo occhio, si procede allo stesso modo per il secondo spostando la disposizione dello strumento ove si appoggia la testa.

L’analisi viene effettuata nei 30° centrali permettendo di effettuare esami di screening in 45 secondi ed esami di soglia piena in meno di 4 minuti con stampa dei valori e relativi grafici: il grado di ombreggiatura delle mappe risultanti corrisponde alla significatività del difetto registrato in quella data porzione del campo visivo. Vengono forniti, inoltre, gli indici perimetrici ed i parametri di attendibilità, proprio come nella perimetria convenzionale.
Il paziente deve sempre portare i propri occhiali con sé, perché se il difetto visivo supera una certa entità l’esame viene condotto con l’ausilio dei propri occhiali per lontano. Questo esame non prevedere l’utilizzo di alcun collirio.

La perimetria FDT è oggi la strategia non convenzionale più diffusa, sia per la rapidità d’esame, sia per la facilità d’impiego e comprensione da parte del Paziente che esegue l’esame, sia per la sua buona sensibilità nel rilevare i difetti glaucomatosi iniziali. Inoltre, offre il vantaggio di essere scarsamente influenzata dalla presenza di opacità dei mezzi diottrici (ad esempio l’opacità del cristallino, alias cataratta) e di essere relativamente indipendente dalla correzione ottica necessaria al Paziente.

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